DIRITTO DELL’AMBIENTE. LA DISCIPLINA DEGLI SCARICHI DA ATTIVITÀ AGRICOLA: ASSIMILABILITÀ ALLE ACQUE REFLUE DOMESTICHE.

DIRITTO DELL’AMBIENTE. LA DISCIPLINA DEGLI SCARICHI DA ATTIVITÀ AGRICOLA: ASSIMILABILITÀ ALLE ACQUE REFLUE DOMESTICHE.

Argomento sicuramente attuale e di grande interesse per le aziende agricole è quello relativo alla disciplina legislativa degli scarichi.

Nello specifico, particolare attenzione deve essere rivolta all’art. 101 comma 7 e 7bis del D. Lgs. n. 152 del 2006 che, assimilando alle acque reflue domestiche determinate tipologie di acque che interessano le attività agricole.

Tale disciplina, nel corso degli anni, ha subito numerose modifiche: la normativa antecedente a quella attuale, applicabile cioè prima dell’intervento correttivo operato dal D. Lgs. n. 4 del 2008, prevedeva l’assimilabilità alle acque reflue domestiche esclusivamente degli scarichi di allevamento delle imprese che mettevano in pratica l’utilizzazione agronomica in maniera conforme alla disciplina regionale prevista dall’art. 112 comma 2 del D. Lgs. n.152/2006.

L’intervento correttivo del 2008 ha modificato notevolmente tale situazione, ampliando il numero di ipotesi nelle quali risulta possibile l’assimilazione alle acque reflue domestiche. L’art. 101 del decreto legislativo già citato la prevede, infatti, per le acque reflue provenienti: 1) da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura, 2) da imprese dedite all’allevamento, 3) dalle imprese specializzate nelle attività di cui sopra che esercitano, con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità, anche attività di trasformazione o valorizzazione della produzione agricola. A queste vengono aggiunte le acque provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che presentino una determinata densità di allevamento o che utilizzino una certa portata d'acqua, oltre alle acque, indicate dalla normativa regionale, aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche, a quelle provenienti da attività termali (fatte salve le discipline regionali di settore) e infine, in alcuni casi, alle acque reflue di vegetazione dei frantoi oleari.

L’ampliamento del catalogo delle ipotesi di assimilabilità ha ingenerato alcuni dubbi interpretativi circa l’ampiezza dei confini applicativi del dettato normativo: la Corte di Cassazione è infatti intervenuta più volte a chiarimento.

Secondo l’interpretazione della Suprema Corte (tra le altre, Sez. III, Sent.12-04-2019, n. 16044 Pluris, banca dati online), l’assimilazione è possibile solo a seguito della “dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie”.

Particolare attenzione nella valutazione della disciplina applicabile alla propria attività deve, pertanto, essere posta soprattutto dai titolari di imprese le cui acque reflue sono assimilate a quelle domestiche solo in presenza di determinate condizioni, come gli imprenditori che esercitano attività connesse alla coltivazione del terreno, alla silvicoltura e all’allevamento del bestiame.

Tali soggetti devono, al fine di poter godere della disciplina prevista per gli scarichi domestici, verificare di soddisfare gli ulteriori requisiti previsti dalla lettera c) del comma 7 dell’art. 101 del D. Lgs. 152/2006: come affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di cui sopra, non è infatti sufficiente svolgere un’attività connessa a quelle già citate perché sia possibile l’assimilazione.

Ad esempio, nel caso oggetto della pronuncia della Suprema Corte, venivano ritenuti soggetti alla disciplina generale gli scarichi connessi ad attività casearia; ciò poiché tale attività veniva considerata del tutto diversa dall’attività di allevamento di bestiame, perché concernente la lavorazione successiva di uno dei prodotti dell’allevamento medesimo.

In linea di principio, anche l’attività di trasformazione casearia di uno dei possibili prodotti dell’allevamento del bestiame può essere ricompresa tra le attività connesse; a tale assimilazione, tuttavia, il legislatore pone un’ulteriore delimitazione, la quale, richiamando un rapporto di stretta connessione funzionale, considera la sola trasformazione e valorizzazione del prodotto, effettuata, con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui l’impresa disponga a qualsiasi titolo.

Nel caso di specie, il trasgressore, che installava e attivava senza autorizzazione una tubazione interrata che collegava la vasca di raccolta delle acque reflue, proveniente dal laboratorio caseario dell’azienda agricola, ad un corso d’acqua, così effettuando uno scarico non autorizzato, veniva ritenuto quindi responsabile del reato di cui all’art. 137 del D. Lgs. 152/2006 (fattispecie contravvenzionale punita con pene detentive e/o pene pecuniarie, sia in caso di dolo che di colpa).

Alla luce di quanto sopra, appare pertanto di fondamentale importanza il rispetto della normativa onde evitare di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge, in particolar modo verificando la concreta esistenza delle specifiche condizioni previste dalla legge, specialmente quando si tratta di attività connesse, con il rischio, in alternativa, di veder applicata la disciplina ordinaria.

 

 

Avv. Mariagrazia Pellerino

Avv. Daniela Altare