LE NOVITA’ DEL DECRETO LEGGE “CURA ITALIA” A TUTELA DELLA CONCORRENZA NEL SETTORE AGROALIMENTARE: RICHIEDERE ATTESTAZIONI COVID-FREE È PRATICA COMMERCIALE SCORRETTA.
Di notevole interesse per gli operatori del settore agroalimentare, fortemente penalizzato dall’attuale periodo di emergenza sanitaria, risultano essere le recenti novità introdotte con la conversione in Legge del Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, il cosiddetto Decreto cura Italia, a tutela del Made in Italy.
La nuova normativa risulta particolarmente interessante dal punto di vista commerciale, in quanto mira a salvaguardare e a favorire l’export dei prodotti della filiera agroalimentare italiana. Lo spirito del provvedimento risiede nell’evitare che i produttori agricoli italiani possano essere discriminati, nel commercio internazionale, a causa della provenienza dei prodotti da un paese fortemente colpito dalla diffusione del Covid-19. La richiesta di certificazioni attestanti l’assenza di contaminazioni da Coronavirus da parte degli operatori stranieri, nel mercato sovranazionale, potrebbe infatti ulteriormente danneggiare il Made in Italy.
In particolare, il comma 2 bis dell’articolo 78 Decreto-legge n. 18 del 2020, così come introdotto in sede di conversione, configura come pratica commerciale sleale ai sensi della Direttiva (UE) 633/2019 - e quindi vietata nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare - la subordinazione dell’acquisto di prodotti agroalimentari, della pesca e dell’acquacoltura a certificazioni non obbligatorie riferite al Covid-19, né indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi.
La Direttiva europea 633/2019 del 17 aprile 2019, recante norme in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, ha come scopo quello di armonizzare le legislazioni degli Stati membri in tema di tutela delle imprese agricole e alimentari da eventuali abusi contrattuali da parte del contraente forte.
La Direttiva, elenca in maniera esemplificativa, i comportamenti che potrebbero integrare gli estremi di una condotta scorretta; in particolare: «discostarsi nettamente dalle buone pratiche commerciali, essere in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ed essere imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, imporre un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da un partner commerciale alla sua controparte, o ancora imporre un significativo squilibrio di diritti e doveri a uno dei partner commerciali».
Tale disposizione prosegue, poi, ribadendo che alcune pratiche potrebbero essere manifestamente sleali anche quando entrambe le parti le accettino.
L’art. 3 di suddetta Direttiva, rubricato Divieto di pratiche commerciali sleali, stabilisce quali condotte siano da considerare comunque vietate, come ad esempio effettuare modifiche unilaterali, recessi contrattuali con preavviso breve oppure uso improprio dei segreti commerciali; sembra, dunque, che questo elenco sia destinato ad ampliarsi a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento del divieto di richiedere certificazioni non obbligatorie riferite al covid-19.
La normativa europea fornisce infatti dei livelli minimi di tutela, lasciando liberi gli Stati membri di «mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali più rigorose di quelle previste nella direttiva, a condizione che esse siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno».
Il comma 3-ter del citato Decreto qualifica, altresì, la nuova disposizione come norma di applicazione necessaria, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della l. n. 218/1995, prevalente quindi rispetto ad altre norme straniere.
Questa previsione ha delle notevoli ripercussioni sul piano applicativo: infatti, l’acquirente straniero, che subordina l’acquisto dei prodotti agroalimentare al rilascio di attestazioni “covid-free”, non può invocare l’applicazione di una norma del proprio diritto interno, sottraendosi così all’applicazione della nuova norma italiana.
L’introduzione delle esaminate previsioni poggia le proprie basi sulla circostanza che il Ministero della Salute ha escluso che la trasmissione del virus possa avvenire attraverso gli alimenti ed il consumo di cibo, fermo restando che gli stessi devono comunque essere manipolati nel rispetto delle prescritte pratiche igenico-sanitarie. Di conseguenza, sarebbe del tutto irragionevole richiedere attestazioni relative all’assenza di contaminazione del virus posto che, da un punto di vista scientifico, non vi sono argomentazioni circostanziate a sostegno del fatto che gli alimenti possano veicolare il nuovo Coronavirus.
Venendo al piano sanzionatorio, la nuova norma introdotta dal comma 2-quater del citato Decreto prevede, salvo che il fatto costituisca reato, l’applicazione di una sanzione amministrativa da euro 15.000 ad euro 60.000 per il contraente – che non sia il consumatore finale - che contravviene a tali obblighi, richiedendo cioè certificazioni non obbligatorie di cui al comma 2-bis dell’art. 78 D.L. n. 18/2020. Per ciò che concerne la commisurazione dell’ammontare della sanzione bisogna far riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che non ha rispettato i divieti di cui al comma 2-bis.
Competente in materia di vigilanza e irrogazione delle relative sanzioni, secondo le regole stabilite dalla L. n. 689/1981, è l’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressione delle Frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Sul piano procedimentale, l’Ispettorato procederà all’accertamento delle violazioni sia d’ufficio, sia su segnalazione di qualunque soggetto interessato.
Al fine di agevolare la segnalazione delle pratiche vietate dalla normativa in esame, è stata altresì creata dal Ministero delle Politiche Agricole un’apposita casella di posta elettronica cui inoltrare eventuali doglianze ([email protected])
In ultimo occorre considerare che il comma 3-quater della normativa in commento introduce, nelle more dell’emergenza sanitaria in atto, una procedura semplificata per il rilascio dei certificati di idoneità da parte degli Organismi di controllo e di certificazione dei prodotti agricoli biologici e di quelli ad indicazione protetta. Nello specifico, la semplificazione riguarda la possibilità per tali Organismi di valutare la sussistenza o la permanenza delle condizioni di certificabilità, senza previa visita in azienda, qualora siano state raccolte informazioni ed evidenze sufficienti, dai titolati delle imprese interessate. Resta comunque prescritto l’obbligo di una verifica in azienda da parte dei suddetti Organismi a seguito della cessazione della situazione di emergenza sanitaria.
Avv. Mariagrazia Pellerino
Avv. Daniela Altare